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Martina: Non meritavo il posto di lavoro perchè facevo pausa pranzo

La storia di Martina, 31 anni, arrivata alla nostra redazione stamattina ha dell’incredibile e descrive in poche righe la lotta de Lo Stagista Parlante: un utilizzo dello stage improprio che snatura il suo ruolo di semplice introduzione al mondo del lavoro, schiavizzazioni in cambio di compensi ridicoli e senza tutele. Si parla di mobbing, di ricatti e di ambienti di lavoro insopportabili. Si parla  di discriminazioni sull’orientamento sessuale contro cui ci battiamo attraverso la rubrica #ParitàeDiritti.  E infine la disonestà e l’ingratitudine di datori di lavoro che prima della pandemia ti offrivano stage a 300 Euro con cui campare e ora si lamentano dei 600Euro del Cura Italia.

Penso che la mia storia è la storia di tanti giovani ai quali viene detto che “si devono adattare”.

Infatti io mi sono adeguata: a 31 anni, dopo 7 anni di lavoro nel campo della grafica, cambio città e rispondo ad un annuncio. Mi fanno il colloquio e spariscono.

Dopo circa un mese mi ricontattano per dirmi che mi hanno selezionata.  Avevo il sospetto che in quel periodo avessero preso qualcuno… infatti poi ho scoperto effettivamente avevano assunto un’altra persona, la quale ha lavorato due settimane ed è scappata.

Torniamo a me: mi propongono di fare un tirocinio che io, pur di lavorare, accetto. Quando siamo andati al centro per l’impiego, il Direttore dice che assolutamente non posso essere assunta come tirocinante perché, essendo stata già assunta con un contratto a tutti gli effetti con il ruolo di grafica, non potevo ritornare a fare la tirocinante.

Il mio datore di lavoro allora trova l’esacamotage: mi fa fare un tirocinio nel ramo del marketing, anche se di marketing non mi sarei mai occupata. Mi devo adeguare, quindi accetto.

Inizio così a lavorare a €800 lorde per 40 ore settimanali senza nessuna garanzia. Ho resistito 4 mesi. Al di la del trattamento economico pietoso (che però avevo accettato, quindi non potevo lamentarmi), quello che mi ha piu turbata è l’ambiente: tutti i miei colleghi subivano quotidianamente mobbing, urla in testa per qualsiasi motivo, anche senza aver fatto niente di male.

A me personalmente veniva detto che non stavo prendendo sul serio il mio lavoro perché staccavo esattamente quando finiva il mio turno. Non ho mai ricevuto il pc e, per lavorare, mi son dovuta portare il mio computer personale da casa.

Lavoravo ovviamente non come tirocinante affianco ad un altro grafico, ma avevo tutta la responsabilità della produzione. Nonostante questo, sono stata presa di mira perché “non mi impegnavo seriamente per poter rimanere in quel posto di lavoro”, perché avrei dovuto fare di più delle mie otto di lavoro ore senza pausa, perché OSAVO ANDARE A PRANZO PER UN’ORA.

In quei mesi ho scoperto che in dell’azienda il contratto piu lungo era di 2 anni, perché le persone si licenziavano appena possibile. In 4 mesi ho visto licenziarsi due colleghi, di cui uno era il responsabile marketing.

Adesso che c’è stata l’emergenza coronavirus il mio tirocinio ovviamente è stato sospeso. Il mio datore di lavoro ha preteso che io lavorassi gratuitamente da casa perché “non potevo lasciarlo in difficoltà”, tanto lui mi avrebbe fatto recuperare, non licenziandomi ma prolungando il tirocinio.

Ovviamente questo non è recupero… recuperare sarebbe stato non farmi andare a lavoro e pagarmi comunque per il lavoro svolto questi mesi da casa senza “retribuzione”. Invece no, per lui la giusta ricompensa consisteva nella grande opportunità di continuare a lavorare per lui. Io ovviamente ho rifiutato.

La cosa che più mi ferisce è che le prime persone che mi hanno giudicato male sono state i miei stessi colleghi, che ritengono che io non abbia fatto il massimo per mantenermi il posto di lavoro, perché trovare lavoro è difficile e quindi mi sarei dovuta piegare a qualsiasi richiesta del mio datore.

Ecco, io penso che fino a quando le persone continueranno a pensarla così, ci saranno datori di lavoro che pretenderanno di schiacciare ogni diritto del dipendente.

Ci sono imprenditori seri che si trovano realmente in difficoltà e, in questi casi, un team può anche stringere i denti per risollevarsi, tutti quanti insieme.

Ma poi ci sono degli imprenditori disonesti che, pur continuando ad avere i loro ingenti guadagni, sfruttano i propri dipendenti e li trattano come oggetti. Io ho visto persone lì dentro demansionate, persone offese nella propria intimità, per il loro orientamento sessuale, per il modo in cui vestivano, per non parlare delle battute sessuali… e tutto ciò quasi sempre durante delle riunioni, anche con rappresentanti di aziende esterne… per la serie “qui è tutto di mia proprietà, anche i dipendenti”.

Bisogna avere la forza di non accettare e, se si subisce ingiustizia, denunciare.

 

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