Davide: guardo chi ce l’ha fatta e mi chiedo dove ho sbagliato

Care amiche, amici e amic* (perché in questo post non si discrimina nessuno) dello stagista parlante, Io mi chiamo Davide, 26 anni, e ho pensato di condividere con voi dei pensieri che mi hanno accompagnato molto negli ultimi sei mesi.

Magari qualcuno di voi si rivedrà in essi o gli/le saranno d’aiuto, specialmente ai maturati e laureati freschi che si apprestano ad iniziare un nuovo capitolo delle loro vite.

Facendo una breve considerazione iniziale, statisticamente la qualità della vita è migliorata secondo quasi tutti gli standard. Eppure, in questi anni è aumentato il tasso di suicidi, di assunzione di antidepressivi, infelicità e smarrimento. Al di là del fatto che ci siano ingiustizie, disuguaglianze in certi casi abissali, e bias da correggere, questa considerazione mi ha portato spesso a ripensare alla mia vita recente, a mio fratello che è “maturato” da poco e ai miei amici.

Io vivo con i miei genitori, ho un lavoro come freelance nel Regno Unito che amo ma non mi dà certezze economiche e ho concluso uno stage in una grossa azienda in Italia che faccio perché non ho trovato di meglio che fosse anche in linea con la mia laurea.

Spoiler alert: La grossa azienda non mi ha assunto. Danno il giro agli stagisti ogni sei mesi.

Poi c’é Sara, una delle mie mie migliori amiche e compagna di avventure all’uni, che ha deciso di prendere la vita per le corna ed è partita per cercare fortuna all’estero. Non l’ha fatto perché non riusciva a trovare un lavoro qui, anche se in molti partono per quel motivo. Lei è partita perché voleva farlo, e adesso a causa del CoVid, lavora part-time come commessa finché le cose non migliorano. 

C’è Gaia, anche lei nel mio stesso gruppo di amici e compagni di disavventure accademiche, che ha già un lavoro e a breve andrà a convivere col suo ragazzo… e probabilmente si sposerà prima dei 30. 

Andrea invece, inseguiva la carriera universitaria del dottorato ma dopo un anno da assegnista ha cambiato strada e adesso cerca un lavoro pure lui. 

Filippo è stato uno a cui il coronavirus invece ha dato una mano. Si è rivelato essere così bravo nel suo lavoro che per non lasciarlo a casa durante lo stage, è stato assunto prima della fine dei sei mesi. 

 Con Michela invece, si è cresciuti insieme e i nostri genitori hanno la stessa mentalità. Lei fa un lavoro ben pagato ma che non c’entra nulla con la sua laurea, e i suoi genitori storcono il naso perché ha “solo” la triennale e non sta lavorando per quello che ha studiato. I miei mi assillano perché a detta loro, non sto cercando lavoro con abbastanza impegno e devo prendere su la prima cosa che capita. Basta che inizi a versare contributi.

Tra tutti questi scenari non so chi abbia ragione, chi abbia indovinato il percorso.

Guardo i miei amici che ce l’hanno “fatta” e mi domando se siano migliori di me o dove abbia sbagliato.

Comprenderete quindi che questo non è un periodo esattamente felice o semplice. 

Al riguardo di questo ultimo passaggio, la scrittrice e psicologa Emily Esfahani Smith nel suo TEDTalk descrive la differenza tra essere felici e avere significato nella propria vita. Un TED di 12 minuti circa che vi consiglio davvero di guardare. 

Lei inizia spiegando come secondo molti psicologi la felicità sia un momentaneo stato di confort e spensieratezza, mentre quando la vita ha significato, si è davanti a qualcosa di più profondo.  È ciò a cui ci aggrappiamo nei momenti bui. 

Per il rinomato psicologo Martin Seligman infatti, il significato nasce dall’appartenenza e dal servire qualcosa al di là di noi stessi e dallo sviluppare al meglio le nostre capacità.

Ma Esfahani Smith procede poi a descrivere i quattro pilastri del significato:

  • Il primo di questi è l’Appartenenza – Noi possiamo trovare significato nella nostra vita attraverso le relazioni in cui siamo valorizzati intrinsecamente e in cui abbiamo la stessa considerazione per gli altri. Nasce dall’amore e può essere coltivato, per cui possiamo sperimentarlo sia con la famiglia in cui siamo nati, che in quella che creiamo per conto nostro negli anni.
  • Il secondo è lo Scopo – Questo pilastro è un po’ particolare perché non è necessariamente legato al trovare il lavoro che ci rende felici o che vogliamo. È legato all’usare i nostri punti di forza per servire il prossimo, sia esso lavorativamente che negli altri aspetti della vita. Ci sono persone infatti che non trovano il proprio scopo nel lavoro ma nella famiglia o nel servizio alla comunità. Gaia per esempio, è molto attiva nella parrocchia del suo paese per cui il suo scopo non è in ufficio. 
  • Il terzo pilastro è la Trascendenza – I momenti trascendentali sono quegli attimi in cui un individuo è distaccato dalla frenesia di tutti i giorni e si sente connesso a una realtà più grande. Molti la trovano a contatto con la natura, c’è chi la trova in un museo apprezzando la bellezza della creatività umana, chi nel luogo di culto della propria religione, ecc… Sara ha lo spirito di una viaggiatrice e abbraccia il mondo cercando di coglierne tutte le sfaccettature. Probabilmente anche per lei, se trovasse un lavoro che le piace, il senso della sua vita risiederebbe comunque altrove.
  • Il quarto ed ultimo pilastro è lo Storytelling – È il modo in cui raccontiamo la nostra storia a noi stessi, che probabilmente è quello più importante per me in questo momento, perché significa che sono io l’autore di quella storia e non un semplice fruitore. Tutte le persone che ho menzionato, me compreso, partono più o meno dalla stessa linea di partenza.

Pertanto noi non abbiamo avuto opportunità palesemente diverse.

Siamo dove siamo grazie le scelte che abbiamo fatto, agli eventi passati della nostra vita… e ad una certa dose di culo. 

La differenza è come scegliamo di raccontare questa storia a noi stessi e agli altri. Appartenenza, scopo, trascendenza e storytelling sono i quattro pilastri del senso della vita, per cui qualunque cosa dia significato alla vostra, sia essa nel lavoro o meno, non abbiate paura di seguire le vostre passioni e di cercare cosa vi fa stare bene.

La condizione in cui siete adesso non è necessariamente quella in cui sarete per il resto della vostra vita, il lavoro che fate non vi definisce se non lo volete, e non è sbagliato o svilente rispetto ad un altro. 

Come ho avuto modo di imparare a spese mie, chi guarda solo chi sta peggio rischia di adagiarsi, mentre chi guarda sempre chi sta meglio, rischia di vivere infelice nell’invidia. 

Focalizzatevi sul vostro percorso, cercate di essere le persone migliori che potete e non mollate. 

Alla fine ognuno trova la sua strada.

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