Senti nell’aria c’è già…
Senti nell’aria c’è già, la nostra canzone… e continuando potremmo canticchiare uno dei classici senza tempo di Al Bano.
Ma, fermandoci e provando ad effettuare un’attività passata di moda (quella della riflessione), potremmo iniziare a captare che l’aria sia davvero ben diversa.
La bulimia da informazione in tempo reale non permette di capire quando ci siano dei punti reali di svolta, ma sicuramente negli ultimi 10 anni abbiamo vissuto due fasi completamente opposte.
Nel post-crisi, qualunque problema veniva girato agli “esperti” o ai “tecnici”.
Per cui personalità come Mario Monti o la Fornero venivano viste come l’oracolo di Delfi cui chiedere ogni soluzione.
Oggi, le personalità dello stesso tipo vengono viste con sospetto e la “competenza” considerata come un servigio alla lobby di turno.
L’imbarbarimento generale nasce come conseguenza ad un processo chiamato inizialmente “crisi”, ma che in realtà rappresenta un nuovo equilibrio (al ribasso), dove le società occidentali hanno perso in termini di eguaglianza, soprattutto con una classe media più debole e meno riconoscibile.
Nel “nuovo equilibrio” il laureato può trovarsi ad avere un tenore di vita peggiore di un operaio
Nel “nuovo equilibrio” il laureato può trovarsi ad avere un tenore di vita peggiore di un operaio, dove le scelte personali dominanti nella società precedente (matrimonio, acquisto di una casa, ecc…) diventano impossibili economicamente e anche culturalmente.
Questo minore potere di acquisto si scontra contro il bombardamento di un’offerta praticamente infinita di prodotti e servizi, dove siamo noi stessi i primi promotori, più o meno consapevoli.
La foto di Instagram in Thailandia, il cocktail sul rooftop o altre cose del genere hanno iniziato a far parte della nostra quotidianità, trasformando il bello di un’esperienza in una sorta di metodo di sopravvivenza verso la continua sensazione di non sentirsi all’altezza del contesto in cui si vive.
La vecchia retorica anni ’90 del “consumismo” si è trasformata in “estetica del consumo”, dove conta dimostrare che si possa accedere all’esperienza “figa”, non tanto “consumarla”.
Poi magari in Thailandia ci si arriva dopo aver cambiato 4 voli, treni notturni in condizioni pietose e ostelli imbarazzanti perché non ci si può permettere altrimenti, pur di non dimostrare, prima di tutto a sé stessi, che un’esperienza considerata figa non sia al di sopra delle proprie possibilità.
E poi magari non riuscire ad ammettere che quell’esperienza non sia nemmeno piaciuta.
Perché, magari, in fondo in fondo, la felicità resta semplicemente un bicchiere di vino con un panino.