Cos’è il greenwashing e come smascherarlo in poche semplici mosse
Fare greenwashing vuol dire ingannare i consumatori ed è ora di pretendere di più.
Un paio di settimane fa, nell’articolo: Non è tutto sostenibile quel che è “Green”, ho cercato di fare un po’ di chiarezza sulle parole che si trovano più comunemente sulle confezioni delle cose che compriamo o sulle loro pubblicità. Una parola che non ho menzionato e di cui invece parleremo oggi, è: “Greenwashing”.
La prima volta che si è parlato di greenwashing è stato circa trent’anni fa e nel tempo è diventato sempre più elaborato e raffinato
mentre non è mai stata data una definizione precisa. Per questo, forse è più semplice spiegare che cosa sia attraverso degli esempi pratici che ricorrendo a spiegazioni teoriche (anche se qui è allegato un bel articolo scientifico del 2019 che ha revisionato e filtrato buona parte della letteratura esistente sull’argomento). Le pratiche di greenwashing si verificano principalmente:
- Dal punto di vista delle CARATTERISTICHE dell’oggetto, e quindi sulla specifica sostenibilità di un prodotto , come nel caso della busta in copertina dell’articolo precedente. Lì il messaggio lascia ad intendere che, poiché il prodotto è oxo-degradabile e biodegradabile, allora il packaging si può disperdere nell’ambiente e tanto non succede nulla di male. Non è così per diverse ragioni: I) non c’è garanzia che si degradi naturalmente (o in tempi brevi). La plastica si considera biodegradabile anche se ci mette 12 -24 mesi a sparire completamente; II) se si degradasse diventando microplastica creerebbe un grosso problema per ragioni ormai note e III) se non viene conferita insieme al resto della plastica non può essere riciclata.
- Dal punto di vista del processo produttivo o della condotta aziendale. In questo caso un’azienda realizza campagne pubblicitarie, iniziative e commercializza prodotti soffermandosi solo su certi aspetti del loro processo produttivo per distogliere l’attenzione dal resto. Un esempio molto calzante è l’industria della moda, più precisamente della “fast fashion” (abbigliamento di scarsa qualità a basso costo), che millanta la sostenibilità delle fibre dei loro tessuti o un uso più efficiente dell’energia e dell’acqua nel processo produttivo per non doversi soffermare sulle condizioni di lavoro inaccettabili nelle aziende della filiera poiché spesso si trovano in paesi in via di sviluppo e quindi con scarse leggi in materia di diritti dei lavoratori e dello sfruttamento minorile.
Al di là della mancanza di fondamento dei messaggi che diventano casi di greenwashing
(e in certi casi alla stregua della pubblicità ingannevole)
uno degli aspetti da considerare, soprattutto per le aziende, è che il consumatore comincia a diventare scettico dei messaggi che legge. Un po’ come voi dopo il vademecum del green e alla fine di questo articolo, spero.
Il che significa che le pratiche scorrette di aziende che vendono fumo senza arrosto, vanno a ledere anche la reputazione di quelle aziende (spesso più piccole ed emergenti) che sono davvero impegnate a rendere più sostenibile il proprio operato e circolari i propri prodotti.
Per concludere, come diceva Henri Poincaré:
“dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere”
Per essere sicuri di fare del nostro meglio come cittadini finché non prenderà piede una struttura normativa per regolamentare il greenwashing e tenere le aziende sull’attenti, e finché quest’ultime non inizieranno davvero ad regolarsi da sole, sta a noi ragionare caso per caso e decidere chi merita fiducia e da chi abbiamo il diritto di aspettarci di più.
Segui il blog via e-mail
Tutti i diritti sono riservati a Lo Stagista Parlante ai sensi della legge 248/2000 della Rep. Italiana
Interessante, del resto sono convinta che la nostra risposta dal basso sia sempre indispensabile
Assolutamente! Nell’ultimo periodo mi sono reso conto anche di un’altra cosa importante. Capita che adottare comportamenti più sostenibili a volte non sia affatto facile o economico, per cui non si chiede al singolo più di quanto una persona possa fare. Si chiede a tutti di mostrare interesse per i temi e avere la volontà di farsi una cultura per andare al di là degli slogan… perché consumatori informati affrontano con razionalità le questioni e le misure/iniziative prese nei confronti della collettività.
Io insisto sul risparmio domestico del cibo, cosa alla portata di tutti, però è vero che tutto richiede uno sforzo, un piccolo impegno anche mentale