Come la Carbon Capture (non) salverà il mondo

Qualche giorno fa ho trovato un articolo che mi è piaciuto molto (originale qui) e che smonta alcuni miti sugli “Net Zero Targets” e sulle pratiche di “carbon offsetting”. I primi sono obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 fino a diventare “neutrali”, mentre le seconde sono tecnologie e/o iniziative che mirano a ridurre o compensare le emissioni di un processo produttivo, prodotto, azienda o anche nazione.

Per fare un po’ di chiarezza, generalmente si parla di obiettivi netti, e non assoluti, perché le emissioni generate sono viste come un bilancio. La CO2 prodotta è considerata un’emissione positiva mentre quella rimossa dall’atmosfera un’emissione negativa. Quando questi apporti vengono sommati, se sono di uguale entità, daranno come risultato zero e si raggiungerà la cosiddetta Carbon Neutrality (neutralità nelle emissioni). Un risultato ambito, certificabile e su cui stanno lavorando molte aziende (Climate Neutral). 

I temi dei net targets e del carbon offset sono entrambi argomenti di cui si è iniziato a parlare molto negli ultimi anni e che nel 2020. Grazie anche alla pandemia, hanno avuto un’accelerazione importante.

Per iniziare con un’ovvietà: la sostenibilità è un tema che tira. L’economia circolare, il green, la carbon neutrality, ecc… sono tutti concetti che vengono discussi abbondantemente ma che molti non hanno ancora compreso bene. Il riferimento al COVID è dovuto al fatto che questa situazione imprevista ha forzato l’introduzione di tecnologie e di cambiamenti bruschi nel nostro stile di vita da cui non torneremo indietro. Rappresentano infatti una normalità che senza virus sarebbe arrivata tra 5, 6 (o anche 10) anni e che non sappiamo bene come recepire.

In ogni caso, il focus di questo articolo è sulla Carbon Capture (sequestro di anidride carbonica) o Carbon Offsetting (traslazione delle emissioni).

Prima di tutto, una cosa da capire sul carbon offsetting è che uno dei modi di compensare le proprie emissioni di CO2, può essere quello del Carbon Trading, ovvero la compravendita di quote di emissioni tra enti privati o anche nazioni. Questo significa che esiste un vero e proprio mercato in cui qualcuno paga un altro soggetto che emette di meno per accollarsi quelle quote in modo tale da far risultare il venditore come più ecologico. Di per sé, questa pratica non è né illegale né criminale, il punto è che in questo modo le emissioni vengono ancora emesse dal produttore e causano i conseguenti impatti ambientali.

Un esempio lampante di questo meccanismo è dato dalle compagnie aeree che pubblicizzano iniziative di riduzione delle emissioni o spacciano i propri servizi come a basso impatto. Sicuramente nel corso degli anni il progresso tecnologico ha permesso di rendere gli aerei e la gestione delle tratte sempre più efficiente, però vendere ad un paese emergente le proprie emissioni non le elimina.

L’altro grosso problema di questo meccanismo è che anche i paesi che assorbono le quote di CO2 altrui hanno firmato l’accordo di Parigi. Questo significa che hanno a loro volta un budget di emissioni massimo e dei propri obiettivi di riduzione da rispettare. La loro crescita economica inoltre fa sì che prima o poi avranno bisogno di tutte le proprie quote disponibili e non potranno farsi carico di quelle degli altri stati o compagnie private rendendo l’offset impossibile.

In molti altri casi, la compensazione di emissioni fa affidamento sull’assorbimento da parte di suolo e vegetazione. Tuttavia, questa capacità è limitata poiché serve a immagazzinare emissioni già prodotte, non emissioni future (qui), e iniziative di questo tipo hanno a loro volta dei pro e contro.

  • Rimpiazzare una foresta secolare con una foresta giovane per esempio, non è un buon modo di ridurre le emissioni di CO2. Gli alberi che verrebbero sostituiti hanno già stoccato al loro interno (e nel suolo) l’anidride carbonica prodotta nel corso di secoli e che verrebbe resa mobile abbattendoli (qui). Allo stesso modo, gli alberi giovani avrebbero bisogno di un tempo equivalente per incamerare le stesse emissioni per cui non c’è un vero guadagno.
  • Un altra dimostrazione di quanto possa essere problematico puntare su iniziative di riforestazione senza averle pensate a fondo, sono quelle portate avanti soprattutto nei paesi tropicali e che hanno come priorità solo la carbon capture. Puntare in questo modo sulla riduzione delle emissioni, potrebbe mettere a rischio i diritti, la cultura e le fonti di approvvigionamento delle popolazioni indigene e potrebbe causare un drammatico impoverimento della biodiversità locale.

Un’altra questione spinosa che deve essere affrontata è che

fissare obiettivi di riduzione a lungo termine, come l’obiettivo di Net Zero Emissions nel 2050 da parte dell’UE, rallenta azioni immediate perché non riesce a trasmettere l’urgenza con cui bisogna darsi da fare oggi.

In generale, si pensa anche che una grossa fetta delle emissioni legate all’uso dei combustibili fossili possa essere compensata da tecnologie per la cattura e rimozione della CO2 dall’atmosfera. L’incertezza qui è che, benché ci sia consenso sulle potenzialità di un singolo impianto, costruendone tanti quanti servirebbero secondo le proiezioni di crescita, questi siano effettivamente in grado di rimuovere la quota di emissioni prevista (IPCC Special Report: Global Warming of 1.5 ºC). 

Detto questo, due ulteriori considerazioni di cui dovremmo tenere conto sono che:

  • L’espansione dell’uso delle energie rinnovabili, anche se un’ottima strategia di riduzione, è un qualcosa che è comunque in corso, per cui non andrebbe visto tanto come una forma di offset ma come un investimento oculato. L’uso di energie rinnovabili può infatti rappresentare un valido strumento di maggiore indipendenza energetica da altri paesi o dall’inport di combustibili fossili.
  • Le tonnellate di CO2 non sono tutte uguali. Le misure di riduzione di domani non compensano gli effetti delle emissioni prodotte oggi e la CO2 emessa per produrre capi di vestiario o per andare in vacanza non può essere comparata a quella derivata dalla produzione di cibo o dai servizi di pubblica utilità.

Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia alla vera esistenza di persone, ecosistemi e nazioni in tutto il mondo. Iniziative di riduzione delle emissioni massicce e rapide, sono essenziali per rispondere alla crisi climatica in atto e rispettare gli impegni presi con l’Accordo di Parigi.

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Una risposta

  1. Paola Bortolani ha detto:

    bell’articolo

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